Laddove il treno non trova più i binari e torna indietro, migliaia di ragazzini indiani nascondono una vita umanamente incontaminata, ma colpita dalla fame, povertà, abbandono, tubetti di colla, assenza di futuro. Nonostante ciò, una cosa non gli manca mai : il sorriso e la voglia di cogliere ogni occasione come se fosse l'ultima.
Raccogliere i pochi bagagli sopravvissuti ai furti notturni del tragitto Calcutta - Guwahati e fuggire dal treno è il primo pensiero di ogni passeggero, sia indiano che straniero. Si sente il rumore dei lucchetti e delle catene con i quali ognuno ha assicurato i suoi pochi averi ai ganci delle luride panchine. Qualsiasi oggetto abbandonato a se stesso per più di un minuto diventa rapidamente di proprietà dei mille bambini trovatelli.
Non sono del tutto orfani – la loro madre è da sempre la stazione.
Durante il viaggio di tredici infinite ore per coprire la distanza di soli 523km, ogni senso umano viene messo a dura prova : il tatto gode di superfici sporche e umide, l’olfatto di odori penetranti di corpi trasandati, thali e afa, l’udito di lamenti, risate, pianti e rumore dei ratti che cercano di acchiapparsi la buccia dei semi di zucca che i passeggeri sputano per terra. Per mettere alla prova il gusto, basta ordinare uno dei piatti preparati sul treno – riso bianco e qualche scarafaggio. Addento un boccone pensando sia qualche verdura locale. No; ha le zampe. Sia il riso che l’animale sono scotti.
La vista è quella che richiede maggior attenzione sia per precauzione che per curiosità. In pochi secondi, a 360° gradi, mille eventi inaspettati hanno luogo. C’è chi allatta, chi dorme per terra, chi lo scavalca, chi grattandosi le ferite aperte guarda gli altri rubare, chi elemosina, chi allontana la testa dalle finestrelle del vagone con vetri inesistenti - ogni tanto arriva una pietra da fuori. Ogni tanto con un’ottima mira.
I ragazzi della stazione.
Ridono a corrono lungo il lentissimo treno, praticamente più veloci di esso. Hanno poco da perdere, nessuno li arresta, nessuno li trova all’anagrafe. E anche se così fosse, la prigione offrirebbe loro un posto sicuramente più piacevole dove stare.
La stazione d’arrivo, l’ultimo punto dell’India del nord collegata coi binari al resto del paese, è un continuo flusso di corpi scuri e sottopeso, una folla a doppio senso che trascina con se tutto ciò che trova sul suo cammino : cani, insetti, piedi dei centinaia senzatetto dormienti, vecchiette spaesate, i lebbrosi che trascinano i loro incompleti corpi verso i bidoni dell'immondizia. I pochi centimetri quadri liberi sono solo quelli intorno ai militari sparsi per i binari, con un lungo bastone in mano. I mendicanti, zingari, i disobbedienti – vengono tutti rimessi a posto con un severo colpo.
Lo straniero, paradossalmente, viene guidato, con sorrisi generosi e accoglienti, e protetto – gli indiani lo proteggono dagli indiani stessi.
Rahul crede di esser nato più o meno 13 anni fa, a qualcuno, da qualche parte. Ha fatto dei binari il suo domicilio quando ancora aveva i denti da latte.
Quando ancora aveva i denti.
Quando ancora non sono stati sciolti dalla colla e vernici che inala.
“ Meglio non rimanere da queste parti, conviene cercare un taxi e un albergo. Di notte è meglio dormire …”, dice.
Alla mia ovvia domanda del perché e se è così pericoloso aggirarsi nei dintorni della stazione, risponde diplomatico, senza annegare il proprio paese : “ Pericoloso ? Diciamo che è … è … è India. “
Il nord est dell’India soffre la povertà ancora di più – se è possibile – degli altri stati all’interno del paese. Qui i cani non frugano nei rifiuti per strada e lungo i binari, sanno che ci è già passato l’uomo, e non ha lasciato nulla di commestibile. Qui le famiglie vanno a caccia di tane dei topi, per estrarre i pochi chicchi di riso che ci trovano e per seminarli. I ragazzini con parenti neonati in braccio offrono le prestazioni sessuali. Anziani scalzi e lebbrosi chiedono di potermi dare una mano con lo zaino in cambio di 10 centesimi. Un uomo anziano mi si propone come taxi umano : per 20 centesimi, è pronto a caricarmi in spalla, e correre scalzo verso la mia destinazione, evitando il traffico.
E’ umanamente dura scavalcare i migliaia di corpi che hanno da sempre e per sempre invaso le piattaforme della stazione. Ammassati uno sull’altro sopravvivono nell’unico luogo che offre l’illuminazione, acqua e avanzi di cibo. I binari fungono da toilette, e ogni passaggio su questi anima la loro fauna : centinaia di ratti corrono tra i piedi, escrementi e fango.
I senzatetto, noncuranti, si passano una spugna bagnata e si lavano a vicenda, tutti con la stessa espressione cauta, rassegnata e un po’ impaurita. Solo uno si alza e avvicina “ la faccia bianca ” che scatta le fotografie.
“ Vorrei che nessuno fotografasse la sporcizia e la povertà del mio paese, le condizioni in cui viviamo. Vorrei la gente vedesse altre cose. “
Ma in questo caso non ce ne sono, penso.
L’esterno della stazione ospita persone ancora più malmesse, quelle che non hanno avuto la forza di strapparsi i propri 60 cm quadri lussuosi all’interno coperto. Dormono rannicchiati intorno alle biciclette, alberi e cartelli stradali. Ma anche i più sfortunati sorridono.
“ Voi in Europa avete tutto, rispetto a noi. E più cose superflue possedete, più ne volete. Il vostro problema più grande è non avere tempo di andare in posta o fare compere o avere la macchina guasta. E questo riesce a rovinarvi il sorriso. Noi abbiamo così tanti, ma così tanti problemi di sopravvivenza, che se ci fermassimo a pensarci, non vivremmo più. E siccome non possiamo risolverli, sorridiamo e viviamo.”
Ma ci sono anche altre anime che vivono spensierate, ancora per pochi anni, nello ZOO umano di questa città fatiscente : i ragazzi. Di nessuno e di tutti, un vero e proprio branco che fa parte di una catena di qualche pappone ladro che li sfrutta. Ogni giorno gli portano avanzi di cibo trovati, bibite, borse rubate, vestiti, ..qualsiasi cosa rivendibile o smerciabile. Lui, in cambio, si presta come una persona pseudoaffettuosa, li illude di appartenere a qualcuno. E per una specie di malsana fidelizzazione, fornisce loro la colla, vernice o altri prodotti per lui facilmente reperibili e economici che sballano i corpicini di appena 8 anni.
Alla vista di un obbiettivo, i piccoli ladri malviventi tornano per un attimo bambini : toccano, salutano, abbracciano, si esibiscono. Un bianco equivale a quelle persone della televisione, e quindi viene da un paese famoso e ricco. Un amico che ognuno si sogna.
Tra una sniffata e l’altra dalla bottiglietta abilmente nascosta sotto il collo dei resti di una maglietta di due taglie più grande, posano per le foto, esprimono a turno felicità momentanea e sguardi troppo adulti. Dopo essersi assicurati che le loro verticali e la scherzosa rissa siano stati immortalati, si sdraiano per terra fingendosi morti, soffocati dalle gallette di riso. Un’idea paradossale se si considera la mancanza di cibo, ancora più paradossale se si pensa che a idearla sia un bambino.
“ Sarò sui giornali ? “ chiede un adolescente denutrito e già sdentato che non si è mai visto in una foto. Gira e rigira l’immagine sullo schermo della macchina fotografica e quando la dimensione del suo occhio, zoomato, diventa superiore alla sua originale grandezza, si tocca spaventato la faccia.
La sua domanda potrebbe essere sia una richiesta che una preoccupazione.
Giornali ?
“ Sì … ti prego, voglio essere sui giornali … voglio che qualcuno mi veda. “
Eccolo qua. Non si può negargli l’ennesimo desiderio innocente, ne non accettare il suo abbraccio e non mantenere la promessa.