Dedicato a chi sceglie la solitudine come compagno di viaggio per non dovere dividere le meraviglie dell'esplorare con nessun altro.
Il Viaggiatore.
Quello che non vuole essere definito turista, perché prima di diventare Viaggiatore è stato anche quello.
Quello che sceglie la scomodità del vagabondaggio invece della comodità di una guida, perché non vuole trovare, ma scoprire cercando.
Quello che ama perdersi, perché quando si perde abbastanza volte e finisce davanti allo stesso tempio, quel tempio diventa la sua casa, il suo punto di riferimento.
Perché il tempo che perde a camminare senza meta gli restituisce ogni suo minuto in viste disarmanti, sguardi che gli fanno ritrovare la sua vera essenza, gesti che solo lui sa cogliere, solo lui è in grado di interpretare, concedendo loro una sensibilità che custodiva dentro di sé a questo scopo.
Il Viaggiatore... quello che ha la presunzione, spesso giustificata, di capire il significato di qualsiasi parola straniera, anche del dialetto degli Akka, solo cogliendone il suono, e dal suono il tono, e dal tono il contesto, il presentimento.
I turisti si spalmano la crema solare ma lui è abbastanza solare da non sfotterli; si sente troppo superiore per fare ciò, perché lo stesso sole non lo brucia – lo riscalda, gli fa asciugare il sacco a pelo lavato nel fiume, gli fa stringere gli occhi e guardarlo in faccia, lo fa sentire piccolo e debole in confronto a lui ed è questo che lo stimola a fare sempre di più, sempre qualcos'altro, sempre meglio.
I turisti tendono a portare le loro vite, le loro storie, i loro amori, le loro abitudini e i loro vizi in vacanza. Il Viaggiatore fa di tutto per separarsene e abbandonarli – se viaggiasse con loro, non avrebbe più spazio per emozioni nuove, tragedie di altri mondi, risate sdentate dei senzatetto indiani, latitudini da non scordarsi, occhiate dei monaci, la devota leccata di mano di un cane che non l'abbandona più nel suo cammino solo perché l'ha accarezzato, la saggezza di uno sconosciuto, la generosità del venditore ambulante di mais gli regala una caramella per lasciargli un ricordo caloroso del suo paese, quel paese che non si cura di lui.
Il Viaggiatore solitario.
Ciò che lo nutre lo distrugge: la sua adrenalina di viaggio è la sua droga, la quale sa benissimo che gli presenterà il conto. Non porterà mai all’overdose, il che è ancora peggio – per sempre gli farà girare il mondo alla ricerca di una dose di stupore, di meraviglia, di inaspettato, che troverà sempre più raramente perché vorrà sempre un’emozione più nuova, una situazione più critica che lo sorprenda, una pianta mai notata.
Ma saprà bene di essere fregato in quanto prima o poi non ci sarà più un odore nuovo da inalare, un animale da toccare, un temporale da evitare, un'onda da sconfiggere, un tempio da togliergli il fiato, una tradizione da confonderlo. Nonostante ciò il Viaggiatore è pronto a rinunciare al letto per dormire, all’assenza di malattie, agli amici, alle dimore, ai lavori, ai partner. Passa giorni interi con i crampi della febbre Dengue perché era così più reale dormire sull’amaca nella giungla che comodamente sotto la zanzariera di qualche guesthouse.
Non viaggia mai in gruppi di più di una persona: vedere la bellezza dell’Himalaya implica parlarne, ma parlarne è condividere e lui non ha altro che quelle sensazioni e troppa sete di esse per volerle condividere. E’ la sua benzina personale, e al rientro ogni goccia di questa lo farà sopravvivere ai tram, al traffico, ai cellulari, agli scioperi, alla gente stressata indisposta a rinunciare al proprio ego.
Non viaggiare da soli vuol dire dover spiegare perché ci si ferma a osservare muti un’insignificante stradina buia e cercare per decine di minuti la luce giusta per fotografare le sue blatte che s’accoppiano. Vuol dire non poter accendere la torcia alle tre di mattina, vestirsi e uscire senza parole per i campi di oppio in attesa dell’alba, non poter investire due ore di attraversata a piedi nella bassa marea del mare solo per abbracciare l’albero in mezzo all’oceano e tornare indietro. Gli è più facile sentirsi beatamente solo in mezzo a un milione di persone che in due.
Il turista continua a passeggiare, mangiare, riposare... il Viaggiatore a camminare, assaporare, e non riposa perché le sue attenzioni per tutto ciò che lo circonda non sono in grado di riposare, e allora si arma di sali minerali e vitamina C e va avanti provando quella sublime sofferenza dell’ultimo guerriero. Di ogni luogo che sceglie fa casa sua anche solo per un’ora, un pasto, una notte, e quando ciò non gli è permesso fa diventare casa sua ciò che lo circonda. Si fida delle disgrazie e si sfida continuamente, per trovare sempre un altro io dentro di sé.
Perché un livido non è un dolore colorato di blu: è una roccia di 70 anni baciata dalla pioggia che ha cercato di entrare in contatto con lui. La sua vita si traduce in dieci chili di zaino ma non lo priva di nulla, gli insegna solo quanto siano inutili tutte le cose dal momento che non ha bisogno di farne uso.