I viaggi. Categorizzabili per meta, disponibilità economica, distanza, preferenze, età.
Non per Aloisia l’ebrea tedesca: 83 anni anagraficamente, 60 fisicamente, 45 mentalmente. Campo di concentramento alle spalle, famiglia sterminata, un dito mancante, impossibile da spaventare, incline al whisky buono e convinta del ‘Vivi come se dovessi morire domani e pensa come se non dovessi morire mai’, Aloisia si rifiuta di passare la sua vacanza ritirandosi con i coetanei in un centro di benessere per pensionati e sceglie la giungla thailandese.
Intasca la lettera del suo medico da ‘leggere attentamente prima di partire per il terzo mondo’, data la sua recente trombosi e frattura alla schiena dovuta al perenne arrampicarsi sugli alberi, e traduce i punti base a modo suo:
- ‘pianificare i trasporti preferibilmente corti’ diventa per lei ‘undici ore di volo per l'Asia sono sempre meno che le ventiquattro per l’Australia’
- ‘richiedere i servizi ai quali in quanto senior avete diritto’, diventa ‘Signorina, mi porti del vino, ho la gamba addormentata’
- ‘tenere sempre con sé le copie della vostra condizione di salute’ diventa ‘mi sono scordata di portare le medicine ma mi ricordo che era qualcosa di piccolo e bianco per il... boh... cuore?’
- ‘evitare i pesi inutili e essere pratici nel preparare le valige‘ diventa ‘tre zaini pieni di creme antirughe, profumi, caramelle, candele, lunghi vestiti floreali in seta e cinque paia di scarpe abbinate a essi...‘
Per raggiungere l’aeroporto di Budapest, Aloisia prende il treno dalla Slovacchia, poi lo shuttle bus. Fa lo scalo in Turchia e prende il volo di coincidenza per l’aeroporto di Suvarnabhumi di Bangkok. Per non perdersi nemmeno un’ora della sua vacanza di un mese, prenota un altro volo per lo stesso pomeriggio per Suratthani, al sud della Thailandia.
La sua conoscenza della lingua inglese si limita alle parole Ok, Coca Cola e Why Not (la provenienza della terza è un mistero per tutti; non sa cosa voglia dire ma sa benissimo quando usarla.)
Ciò nonostante riesce a farsi dire come raggiungere l’aeroporto secondario di Don Muang, prendere il terzo volo e ritrovarsi, poche ore dopo, a conversare in una lingua inesistente con uno sciamano thailandese nel giardino di qualcuno che le ha offerto il pernottamento.
Gli offre della slivovica slovacca fatta in casa, gelosamente custodita nel bagaglio da stiva, e quando quest’ultimo osa arricciare la fronte dopo il primo sorso, Aloisia ingoia tre lunghi sorsi di essa, e con espressione stupita esclama :
“Ma zio, che era quella faccia, questa roba non avrà nemmeno 65 gradi!“
Finisce la serata poco prima di finire la bottiglia, si sdraia sul materasso per terra, sposta dolcemente ma decisa uno scarafaggio, esclama uno ‘statemi bene tutti’ e dorme.
La mattina non perde tempo; manda giù quella massa di cibo non identificabile avvolta in una foglia di banano che le porge lo sciamano Keu, e salgono in macchina per raggiungere la sua dimora nella foresta pluviale di Khao Sok, un parco nazionale più vecchio di Amazzonia. Durante le tre ore del viaggio verso l’incontaminato, lei canta, lui ride, lei canta, lui fuma. Su una cosa sola non vanno d’accord: SI in slovacco si dice NO, e ogni volta che lui le fa notare un elefante, un serpente, o le propone dell’acqua, non capisce perché lei dica sempre di No ma poi la beve lo stesso.
Il bungalow di foglie immerso nella giungla, contornato da ogni specie di fauna e flora, regna nel cuore di un paradiso terrestre.
“Nooooo“, dice annuendo Aloisia, e ammirata tira su il pollice nel segno internazionale di OK.
Lo sciamano si confonde nuovamente con il No, ridacchia, si accovaccia nel suo altare di fianco al fiume, stacca un pezzo di canna di bambù col machete, fa un buco, ci fissa un pezzettino di legno, aggiunge dell’acqua, taglia un’erbetta verde e secca, la posa sul pezzettino di legno inserito nella canna, l’accende, aspira forte il fumo, lo trattiene a testa rivolta verso le stelle, lo rifà altre due volte, sputa, ridacchia di nuovo, alza il pollice anche lui e passa il bong con l'erba ad Aloisia.
Alosia è una donna per bene; non fuma, non ... - ok, non fuma e basta. E’ credente, ma quando bisogna dire le parolacce, le dice. E’ salutista, ma quando ci vuole una bottiglia di rum, ci vuole. La droga non la tollera e sa bene che Keu sta fumando della droga.
"No, no!", dice decisa, inteso come un No inglese. Al che lo sciamano, convinto di avere capito la logica del No, le porge lo strumento.
Aloisia ci pensa due volte: insomma, era contraria anche ai tatuaggi, eppure un annetto fa si è finalmente decisa a marcare il suo petto con un bell’Hallelujah ebraico.
Quindi Why not.
Passa il pomeriggio seduta sulla camera d’aria di un tir, buttata nella torrente della foresta pluviale: aveva letto 'tubing' e non sapeva cosa fosse. Ora lo sa: per un’ora, con il sedere immerso nell’acqua gelida, attraversa galleggiando la foresta e i suoi alberi di caucciù, scimmie, pitoni e liane infinite, masticando le foglie di coca raccolte dall'albero di Keu.
Il materasso per terra su cui dorme attira tutto ciò che ha più di due zampe e due ali ed Aloisia si è ormai abituata a parlare non solo con i santi e i Buddha posti in alto alla capanna, ma anche con i giganteschi ragni, gechi, cani randagi, gatti, pipistrelli, ratti e scarafaggi. Ama la pulizia ma non è schizzinosa, perciò non la disturba il fatto che l’unico modo per lavarsi interamente è entrare di notte nel fiume e cercare di ricordarsi la strada per tornare indietro. Non si chiede mai cosa ha cucinato lo sciamano, dove l’ha cacciato ne come; dal momento che il fuoco fuori fa bollire il cibo, male non può fare. Non le interessa nemmeno perché lo sciamano abbia dei rettili morti in frigo, di fianco alle uova.
Per lo stesso motivo non esita minimamente quando lo sciamano le propone una destinazione insolita: alla scoperta di un’isola quasi disabitata, scomoda da raggiungere, cui poca popolazione è stata estirpata dallo tsunami anni fa. Il posto non offre nulla se non natura selvaggia, un’ora di elettricità al giorno, paludi immense incastrate dentro a una natura poco thailandese, quasi savaniana. Nessuna auto, nessuna strada, nessun alimentare o pronto soccorso.
Macchina, barchetta di legno, oceano aperto, una piccola famiglia diffidente di zingari del mare, un’altra oretta dentro al carro del motorino, e Aloisia si ritrova in mezzo al nulla con le sue provviste di cibo per i quattro giorni successivi. Oltre al pollo, acqua e frutta, lungo la strada è per fortuna riuscita a trovare anche del rum locale e la Red Bull thailandese- M5. (Ne è una grande fan e sa benissimo che la Red Bull occidentale non è che un debole derivato della ricetta thailandese originale, diluita ed acquistata da un austriaco anni fa, appunto dal Siam.)
Smaltisce le energie lavando i suoi vestiti a mano nell’acqua piovana e togliendo le 'erbacce brutte' vicino ai fiori. Lo sciamano ride, fa bollire le erbacce e le serve per cena.
La mattina Aloisia vorrebbe finalmente vedere l’oceano, ma la strada a piedi è lunga e tortuosa: con il machete in mano, Keu fa da capo spedizione verso il fruscio inconfondibile dell’acqua agitata. La foresta sembra un labirinto quasi buio ma stando su un’isola, sicuramente chiunque troverebbe il mare, prima o poi. Ma Keu è indubbiamente più bravo a sfruttare il suo istinto, conosce meglio l’habitat e sa esattamente sotto quale apparente campo verde si nasconde una palude, quale ramo poter tirare e tagliare senza che un pitone dormiente caschi loro in testa, quale fiore fa diventare ciechi e come staccare le sanguisughe dalla lingua.
Aloisia attraversa le paludi immersa nell’acqua fino alla vita, inciampando nelle alghe, nel fango, contenta di non possedere nessun apparecchio tecnologico.
Ma la fatica è valsa la pena: quando ormai non se l’aspetta più, dietro a un cespuglio colorato, ecco uno di quei momenti che attendi da una vita, che ti restano a vita . Con la faccia rivolta verso la Birmania, fa scivolare lo sguardo lungo l'impeccabile sabbia d’oro fino all’infinito turchese dell’oceano che si mischia all’azzurro del cielo; due colori così simili e così nettamente divisi e diversi, qui.
Nella lontananza, quasi fosse una fata morgana, si intuisce Koh Similan e la sua sorella Koh Surin, le due isole più distanti dalla costa thailandese.
Aloisia è un’estremista: se deve fare il bagno, o lo fa di tre ore o non lo fa proprio. Se deve prendere il sole, o lo fa tutto il giorno sotto all’equatore a cinquanta gradi senza protezione, o non lo fa. O gira l’isola a piedi o non ci va nemmeno, inutile dirle che non troverà mai la strada per rientrare da sola.
Ed è cos’ che succede; Alosia, un pomeriggio alla scoperta dell’isola in solitudine, cade dal motorino. Per non fare preoccupare nessuno, ammette un leggero fastidio all’omero, tralasciando il buco del pedalino nel polpaccio della gamba affetta recentemente dalla trombosi.
Ansiosa di non avere visto ancora nulla, riprende il lungo tragitto verso la terra ferma, altre sei ore di autobus statale per raggiungere il lato opposto della Thailandia, qualche cibo indefinito acquistato per strada, un minivan, due traghetti, un tuk tuk, ed eccola nella punta estrema di Koh Lanta, in un bungalow seminato per sbaglio nel dimenticatoio, con scimmie che le rubano i reggiseni dal bucato appeso e una specie di barattino all'aperto dal nome Why Not.
Why not!
Passa le serate ad osservare i plancton lampeggiare nel mare, sorseggiare il whisky locale, e le giornate ad esplorare la giungla sul dorso di un elefante.
La gamba è sempre più scura e fa sempre più male, ma questo lo sa solo lei. Quando le diventa nera, la avvolge semplicemente in una pezza bagnata, così non la vede. Quando si gonfia, veste gonne lunghe, così nessuno fa domande. Quando le brucia mentre si abbronza in topless, la sotterra nella buca scavata nella sabbia. Quando poi diventa blu, verde e gialla, si convince che è il percorso naturale di un livido. Quando la farmacista sbarra gli occhi, pensa che sia esagerata. Quando la portano in clinica e chiamano un ambulanza per portarla d’emergenza a sirene spiegate fino al lontano Bangkok Hospital a Phuket, comincia a pensare che forse sta succedendo qualcosa.
Una notte d’osservazione diventano tre settimane di cura intensiva, e il suo taciuto livido si rivela un’altra pesante trombosi peggiorata dall’infezione in uno stato avanzato.
Aloisia non è mai stata sdraiata senza fare niente per tutto quel tempo. Tanto, troppo tempo, lo odia, perché le fa di colpo pensare che la vita andrebbe non solo vissuta, ma anche rispettata. E quando vede la serietà e la dedizione con la quale questi piccoli esseri asiatici affrontano il suo malessere, maledice il suo medico curante cui cure si limitano al ‘Dopo i sessanta, si è vecchi, non ci posso fare nulla, lei è vecchia.‘ Per un attimo si arrabbia persino con se stessa, perché dà per scontato che le sue gambe di 83 anni la portino in giro per il mondo senza cedere mai, come una volta.
Ha giurato di non bere più tutti quei caffè, Red Bull, di non prendere le sue medicine come fossero caramelle, di riposare per non sforzare la gamba.
Se è vero che ogni storia dovrebbe avere un lieto fine, anche questa ce l’ha: dopo settimane, Aloisia ha finalmente potuto alzarsi in piedi, lasciare l’ospedale e rimpatriare - non senza esclamare: “Questi viaggi non fanno più per me, ora come faccio a tosare l’erba, così zoppa? L’anno prossimo si va in Egitto.“
Why not?
N.d.r.: dedicato alla mia più unica che rara nonna :)