Quotidianamente, e con una certa insistenza, i social networks e altri ‘attendibili’ mezzi di comunicazione, cercano di seminare il panico in Europa: 'Attenzione, allarme barconi. Italia, se continua così, esploderà.' Eppure abbiamo molti meno immigrati della Grecia, Spagna, Norvegia, Svezia, Inghilterra,... Prendere l’ascensore insieme a un portatore di pelle più scura equivale allo scippo. Parlargli, allo stupro. Contraddirlo, a un omicidio. Passare da Calais, all’eutanasia. Fare il capotreno, al braccio tagliato.
Tanti politici sorridono contenti. ("Visto? Che banda di fresconi il nostro popolo, ci son cascati di nuovo e li abbiamo distratti dai problemi ben più gravi che non sapevamo più come nascondere. Magari pubblichiamo un’altra decina di volte il video dei corpi dormienti ammassati, così che invece di chiedersi perché i padiglioni dell’Expo non fossero pronti e l’autostrada del sud nemmeno, per un attimo avranno altro a cui pensare e si convinceranno da soli che è per colpa degli immigrati - mangiano i nostri soldi. Ma sì, va tranquillo, funzionerà come al solito, tu prendi intanto questa bustarella e saluta tua moglie. Si trova bene come nuovo capoufficio all’immigrazione? Mi han detto che questa settimana ha risposta già tre volte al telefono! Brava.")
La leggenda più semplice e comoda da farci credere è che questa 'gentaglia' arrivata via mare sbarca per appropriarsi di una vita da malviventi, nullafacenti, mentre noi, onesti cittadini, paghiamo le tasse e frequentiamo le messe. Gli altri vanno a prostitute e tirano di coca, ma noi no. Ci chiediamo perché vengono tutti proprio in Europa; ma chissà. Non capiamo perché le macerie delle loro case in Iraq, con corpi dei familiari ancora all’interno, sia un posto così spiacevole da vivere. Perché esser perseguitato dal proprio governo col mitra in braccio debba spingerli a preferire una qualsiasi stazione dei treni in Europa al loro paese. Perché sbarcano qua da ‘noi’ e non in Svizzera, che è ricca... ("Eh, come ? Sicuro che la Svizzera non ha il mare? Ah.)
La notizia allarmante degli sbarchi viene accompagnata sempre dalla stessa foto d'effetto, preferibilmente d’archivio. Foto rigorosamente con uomini giovani e muscolosi su un gommone che ospita cinque volte tanti corpi quanti dovrebbe. ("Ma sì, dicono che son denutriti, potranno pur stringere i loro corpi sottopeso, no? Così possiamo dire che sono vigliacchi, perché hanno lasciato le loro mogli e figli a casa e son scappati verso una vita migliore. Cosa? Vuoi dirmi che una donna incinta o un bambino sopporta male un naufragio, o un viaggio di tre settimane senza cibo? Cosa? Che l’abbiamo fatto anche noi, anni fa, invadendo l’America? Eh vabbè, però è diverso, noi... noi... ehm... è diverso e basta.")
Come alternativa, la foto dei profughi, migranti, immigrati economici, richiedenti della protezione internazionale, in riva al mare con un cellulare in mano, in disperato tentativo di comunicare a qualcuno che sono sopravvissuti.
Ma ciò che sulla foto vediamo noi, è: Ma come fa un poveraccio ad avere un Nokia?!
Pochi si soffermano e lasciano ragionare il lato umano. Pochi ricordano che persino la mafia italiana risparmiava le donne e i bambini da atroci cause ed effetti dei loro giochi sporchi. La maggioranza degli europei mangerebbe tonno in scatola per un mese intero pur di avere l’ultimo modello di iPhone, che non userebbe nemmeno per tracciare gli avanzamenti dell‘Isis nel proprio paese, bensì per un selfie migliore da postare.
In seguito all’accettazione del regolamento Dublino, (incrociando i dati tra i paesi membri dell’UE, si determina con rapidità lo Stato membro competente per la domanda d’asilo e si prevede il trasferimento del richiedente in tale Stato membro. Lo Stato membro competente all'esame della domanda d'asilo sarà lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’UE ), l’Italia si è ‘riempita’ di immigrati, i quali però quasi sempre usavano il paese come passaggio, senza nessuna intenzione di rimanerci. Chiamiamoli scemi. I paesi di loro interesse sono paesi scandinavi, Germania, Inghilterra, etc.
Continuiamo a lamentarci della loro presenza nei parchi, nelle stazioni, nelle metro, davanti ai supermercati - non li vogliamo. Loro si lamentano perché vorrebbero potersene andare, ma noi non glielo permettiamo - sennò, come facciamo a continuare ad incassare gli aiuti economici dall’UE, guadagnare sugli inesistenti centri d'accoglienza, gare d'appalto, il catering?
Per fortuna per i nostri politici, non sono tante le persone dotate di intelligenza e di umanità superiori a quelli di un’asse da stiro, in gradi di realizzare che il flusso di migrazione è gestito dalla mafia capitale, intercettata più volte, e che questo finto aiuto umanitario non serve ad altro che ad arricchire quelle poche persone prescelte che vendono e acquistano gare di appalti. ("Ecco, mettiamo un’altra notizia scioccante di scabbia a Roma, così che si perde la notizia degli investigatori che confermano l’esistenza di una struttura mafiosa operante nella Capitale, cerniera tra ambiti criminali ed esponenti degli ambienti politici, amministrativi ed imprenditoriali locali, in particolare di un ramificato sistema corruttivo finalizzato a favorire un cartello d’imprese interessato alla gestione dei centri d’accoglienza e ai coesistenti finanziamenti pubblici connessi ai flussi migratori. E poi magari domani lanciamo la notizia che Belen sta divorziando, così che non notano l’articolo sulle indagini in cui risulta che un appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sulla’Accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale garantiva persino consistenti benefici economici a quel ‘cartello d’imprese’ interessate alla gestione dei centri d’accoglienza e determinava l’esclusione di imprese concorrenti dall’aggiudicazione dei relativi appalti. Oddio, magari nessuno leggerà le intercettazioni di Luca; speriamo: a quell’ora dovrebbe esserci la partita e si sa che gli italiani scendono in piazza solo per protestare contro un fallo.")
L’intercettazione riporta la conversazione tra Luca Odevaine e alcuni suoi collaboratori nei suoi uffici della Fondazione IntegrAzione, mentre prospetta un vero e proprio “tariffario per ogni migrante ospitato.“
" ...Altre cose in giro per l’Italia... possiamo pure quantificare, guarda... se me dai... cento persone facciamo un euro a persona... non lo so, per dire, hai capito? E...e basta, uno se ragiona così dice va beh... te metto 200 persone a Roma, 200 a Messina... 50 là... e... le quantifichiamo, poi... ". Parla inoltre di uno degli accordi stretti con il presidente della ‘Cooperativa 29 giugno’, spiegando che “ Gli ho fatto avere altri centri, in Sicilia... in provincia di Roma e quant’altro, quindi su tutto quella... quella parte là ci mettiamo d’accordo. Dovremo..., più o meno, stiamo concordando una cifra tipo come 1 euro a persona, ci danno, calcolando che so' almeno un migliaio di persone, dovrebbero essere grosso modo un migliaio di persone, insomma so' 1000 euro al giorno quindi 30.000 euro al mese che entrano... "
In parole povere e comprensibili anche ad una casalinga fiduciosa nel sistema, che s’illude che Luca parli dei punti della Conad e non di vite umane: che si tratti di raccolta differenziata/smaltimento rifiuti, della manutenzione del verde pubblico o piste ciclabili, lavori connessi all’emergenza maltempo, accoglienza dei profughi e dei rifugiati, o di qualsiasi settore oggetto di gare pubbliche, son tutte attività facilmente acquistabili e sfruttabili in pieno stile di un Monopoli personalizzato e imbastardito su misura: "Vuoi il Parco della Vittoria, che frutta più in assoluto? Ma no, non devi aspettare che ci passi sopra, io ti permetto di acquistarlo, basta che tu paghi sia me che il terreno e ti ci faccio capitare io. A te conviene spendere dei soldi in più, perché farai cento volte tanto, comodamente seduto su una sedia, solo sfruttando colui che ci passa sopra. Ma siccome sei furbo e sai che colui che ci passa sopra non ha una lira, invece di mandarlo in galera e non incassare più nulla per colpa dei suoi spostamenti infelici, sfrutti il suo status e gli aiuti a lui destinati. Incassi il doppio dagli altri, e gli fai pure credere che gli stai facendo un favore lasciandolo su un tuo territorio su cui non vuole stare. Intanto però gli dai anche la colpa, per pulirti le mani: guardate, lui sta lì senza fare nulla, e voi pagate per lui. Oppure lo fai stare fermo per i soliti tre giri, duranti i quali non può fare nulla, ne incassare ne muoversi - l’equivalente della situazione di ogni immigrato in attesa di uno status riconoscente, durante la quale non può ne lavorare, ne andarsene, ha doveri ma non diritti. Lui in tutto questo tempo non deve pretendere di avere fame, sonno, o persino bisogno di assistenza medica - a te serve fermo lì. Eh già; se trovasse un lavoro, guadagnerebbe lui e quindi non più tu. E pensa, per quanto riguarda il ‘Via’, non saremo noi a dovergli dare 500 euro, ma ben lui a noi! Sì, ho pensato a tutto, amico, c’è ‘sta clausola qua, nel caso non dovesse presentarsi all’appuntamento in questura per la domanda il giorno prestabilito, diciamo anche per problemi di salute visto che non ha diritto a un medico, sarà LUI a doverci versare una sanzione di 516 euro! Come? Ma và, di scabbia non si muore più. Du’ punture qua e là, du’ grattate. Sì, lo so che la Mutua non rimborsa quella medicina, io comunque non uso i treni ma gli aerei statali, che me frega che al primo piano della stazione ci sono stati casi di scabbia. Ci costa meno curare quei due-tre senzatetto italiani infetti che offrire un’assistenza a quelli là che, se Dio vuole, già dopodomani scappano in Germania. Illegalmente, sia chiaro, perché legalmente ce li dobbiamo tenere noi. Ma noi continuiamo a riportarli come nostri, te l’ho detto, una testa = un euro...
Grazie alle persone realmente coinvolte nelle cause umanitarie, impegnate in prima persona e non nascoste dietro al nome di un’associazione per giustificare all’UE i soldi ricevuti e mai distribuiti, mi viene segnalata una coppia di ‘freschi’ immigrati in una situazione che risalta la caotica incompetenza della gestione immigrati in Italia.
Quell’Italia che, già più volte, ha benevolmente aiutato i clandestini, offrendo loro la Sanatoria, ovvero la concessione di un permesso di soggiorno valido, in cambio di centinaia di euro per la presentazione della domanda e del saldo dei contributi degli ultimi sei mesi.
La concessione dei permessi valeva per centinaia di migliaia di persone, quindi facciamoci due conti. Per la sottoscritta e tanti altri era l’unica possibilità da sfruttare: c’è a chi è servita per studiare, per trovarsi un lavoro. C’è chi ha usufruito della Sanatoria per continuare a spacciare, questa volta in regola. Nessuna istituzione mi ha mai chiesto dove prendevo i soldi per un affitto pari a 800 euro se ne dichiaravo 450 come badante. Così come nessuno consiglia agli immigrati come fare per sopravvivere durante l’attesa del riconoscimento del loro status, visto che per sei mesi dalla formalizzazione della domanda e non dal loro effettivo arrivo, gli è vietato lavorare nonostante siano ancora privati di aiuti economici ma anche dell’accoglienza che gli spetta.
Esempio pratico: centinaia di ragazzi giunti in Italia il 3. marzo 2015, hanno avuto l’appuntamento in questura per la formalizzazione solo il 12. giugno 2015. Perciò ai sei mesi di obbligatoria inattività lavorativa si aggiungono altri tre mesi.
Le richieste non vanno in commissione prima di quattro mesi - alcune addirittura dopo dieci mesi - dalla formalizzazione. Quindi dal loro arrivo passano tre mesi in attesa per la formalizzazione e altri nove mesi per l’audizione in commissione per la richiesta d’asilo. Poi da uno a tre mesi per la risposta e poi almeno altri tre per avere permesso di soggiorno originale e passaporto. Totale probabile del tempo in cui teniamo inattivi i richiedenti asilo in Italia, a causa della lentezza e dell’assenza di personale in questura, aumenta a 3+6+4+3+3. Ben 19 mesi, che si possono ridurre a 10 se tutto va ‘veloce’, ma che possono diventare due anni, se qualcosa s’inceppa. Le uniche istituzioni a non incepparsi mai sono le cooperative, che continuano tranquillamente a mangiare sull’accoglienza.
Vado a incontrare questi ‘pericolosi guerrieri, sporcaccioni che non mangiano maiale, individui senza rispetto per la donna’ a casa loro, ovvero sotto a un albero nel parco vicino alla stazione, posto privilegiato in quanto attaccato ad una fontanella d’acqua potabile. C’è più gente qui che in biblioteca; un dato scontato, essendo l’Italia al 24esimo posta nella lettura dei libri.
Uno zainetto con cento fogli contraddittori rilasciati dai vari centri e questure, un po' di perplessità nelle loro facce, un po’ di dubbi: ci vuole aiutare o contribuire a deportarci di nuovo ? Grande dignità, unghie perfettamente pulite anche in mezzo alla sporcizia. ("Vedi, te l’ho detto, non hanno voglia di fare nulla! E noi a sporcarci le mani... cosa? I soldi non lasciano sporco sulle mani? Allora siamo a posto.") Un leggero tentativo di eleganza con una camicia ricevuta dalla Caritas, che mi commuove. Un cellulare in due, funzionante solo per l’internet che gli permette di comunicare via whatsapp con i familiari sopravvissuti, e di tanto in tanto accedere alle news sugli avanzamenti dell’Isis.
Z.N. ha 23 anni, appena compiuti nel parco della stazione Centrale di Milano, tra il prurito di una malattia della pelle contratta da poco, i ratti sulla sua coperta, e una pacca sulla spalla di B., il suo compagno di barcone.
Nato in Iraq, a Mosul, invasa pian piano dall’Isis e in seguito bombardata dai jet americani, da che stava davanti alla televisione con la sua famiglia, si è ritrovato in mezzo alle macerie della propria casa, con l’unico corpo ancora respirante del proprio fratello. Il resto della famiglia è rimasto da qualche parte sotto di lui. Centinaia di persone sono finite davanti alla scelta del loro avvenire: o unirsi e uccidere, o farsi uccidere. Entrambe le alternative hanno una prospettiva e durata di vita abbastanza corte.
Z. decide di provare a scappare. Ad aprile riesce ad arrivare fino alla Turchia, strada facendo perde anche l’ultimo fratello. Non è ne il primo ne l’ultimo clandestino da quelle parti e in giro di una settimana viene prontamente indirizzato a uno ‘smuggler’, una specie di contrabbandiere degli umani, che se la cava benissimo a spellare i disperati, e che per ‘soli’ 10.000 dollari si offre di farlo arrivare fino all’Inghilterra, paese del suo interesse con ottime recensioni degli immigrati precedenti. Dal lato opposto del porto, un altro ragazzo della sua età contratta per lo stesso tragitto. Anche B. è un curdo ma iraniano, perseguitato per aver supportato un partito dell’opposizione al governo, anche lui diretto in Inghilterra. Il barcone contiene una cinquantina di persone, la maggior parte persone ‘per bene’ : insegnanti, laureati, medici, giornalisti. Tutti perseguitati o minacciati dal proprio paese. Solo una famiglia di insegnanti si è potuta permettere di viaggiare al completo, le altre famiglie hanno dovuto scegliere l’esemplare più forte, fisicamente resistente e in salute - spesso l’unico sopravvissuto - per fargli affrontare un viaggio simile.
Dopo 8 giorni di navigazione, qualcosa va storto e i ragazzi vengono gettati nelle acque di Crotone. Chissà, forse è in quel momento che scatta l’amicizia tra Z. e B. Vengono arrestati, portati in caserma, dove gli viene chiesto di lasciare le loro impronte. Non parlano che il curdo. ("Cosa? Che ignoranza! Eppure persino Renzi si è quasi fatto capire, Rutelli a forza di ripetere le stesse frasi anche, e Fassina è famoso per il suo Ui tits tutauzend iris of istori tudei stenz end ev of e meior prozes."). Consci delle conseguenze del regolamento di Dublino, per non dover rimanere in Italia ne doverci tornare un giorno, cercano di non farsi schedare. Dopo 8 giorni di detenzione cedono per venire rilasciati e per provare a proseguire la loro strada. ("Ma pensa te, sempre a viaggiare ‘sti due, eh !") Il contrabbandiere di B. è di parola e gli procura un biglietto treno che lo porta fino a Calais, dove gli troverà un altro modo per raggiungere l’Inghilterra. Il contrabbandiere di Z. sparisce e si deve procurarsi un biglietto da solo. Sul treno non vengono effettuati controlli di nessun tipo.
Raggiungono Calais, un altro buon esempio delle disfunzioni Europee rispetto all’immigrazione, al diritto di asilo e alla gestione delle frontiere. I migranti che non trovano una condizione di vita decente nei paesi europei attraversati, sono spinti appunto verso l’Inghilterra ma rimangono bloccati nei pressi di Calais, dove stazionano ogni anno circa 1000 persone distribuite in una quindicina di accampamenti informali, ignorati dalle istituzioni, senza servizi e assistenza. La maggioranza sono afghani, iracheni, iraniani, somali, eritrei, provenienti quindi da zone di conflitto o da paesi con dittature. Donne e uomini, bambini, che, aiutati, riuscirebbero ad accedere ad una procedura corretta e ai diritti che gli spettano ed ottenere la protezione internazionale. Una grossa parte dei migranti proviene invece dall’Italia con documenti già ottenuti proprio qui; ciononostante o proprio per questo motivo, lasciano il paese per le disumane condizioni riservate persino ai rifugiati riconosciuti - non viene fornito loro un alloggio, una possibilità lavorativa, un corso di lingua. ("Eh no, non sia mai rubino il lavoro in giro, sennò cosa ci rimane da rifiutare?") Se sono fortunati, vivono in grandi squat e vengono impiegati in nero e sottopagati nei campi agricoli nel sud Italia, pur avendo i documenti.
Dopo 10 giorni a Calais, dove la francese CRS si impegna ad organizzare regolari interventi di violenza, lacrimogeni e minacce contro gli immigrati, arriva il turno dei ragazzi: un tir in arrivo, ancora non ‘prenotato’. Può ospitare fino a 10 persone. Le donne e i bambini vengono assegnati ai tir in riposo nella vicina campagna o lungo la strada, per esser introdotti all’interno o legati da sotto all’esterno con calma e per non esser esposti al maggior pericolo fisico di un tir in moto, o quello legale - i controlli prevedono radar, sistemi di rilevazione della temperatura corporea, cani, raggi infrarossi, etc.
B. e Z. pagano 2000 pounds a testa allo smuggler che con un’incredibile velocità forza il lucchetto del camion assegnato, li spinge dentro e altrettanto velocemente richiude un lucchetto nuovo di zecca sugli sportelli. Da fuori. La chiave della loro libertà viene gettata via insieme alle altre chiavi, alle altre vite di passaggio.
I conducenti non sono a conoscenza della merce umana nei loro tir - avviene tutto molto in fretta e fra il caos e il fracasso generale della zona, non fanno in tempo ad accorgersene. I dieci ragazzi chiusi nel camion al buio s’accorgono che sono stati caricati su un tir - frigorifero che trasporta i surgelati. Due di loro hanno un cellulare ancora funzionante e prima che quest’ultimo smetta di funzionare per via della temperatura, riescono ad individuare la loro posizione: Inghilterra. Mai si sa quanto durerà il viaggio in quanto mai si sa dove è diretto il camion. Di solito si aspetta finché il conducente non giunga a destinazione, non si accorga di aver un lucchetto nuovo, lo spacchi, spalanchi gli sportelli e li liberi involontariamente.
La temperatura del frigo è insopportabile, alcuni si sentono male, altri dormono esausti sui cubi di ghiaccio, c’è chi soddisfa i propri bisogni là in mezzo. Nessuno sente più il proprio corpo. Le loro mani e la faccia sono blu, Z. non si sta più riprendendo. B. aspetta il limite della propria sopportazione e dopo ormai tre ore e mezza comincia a bussare dall’interno del camion, considerando che sarebbe meglio venire scoperti che congelare a due passi dalla realizzazione della loro missione. Il conducente sente i colpi e poco dopo si ferma, ma invece della libertà, dietro allo sportello appare un pattuglia.
Leggo tutti i fogli custoditi con attenzione dai ragazzi durante la loro (dis)avventura, senza i quali la loro esistenza risulterebbe a noi, individualisti occidentali, ancora più insignificante ed inesistente - in fondo sono solo altre persone che occupano i nostri spazi e mangiano la nostra pasta, no?
Vengono portati nel carcere di Croydon, vicinissimi a Londra, il compimento della loro missione. Per due e passa mesi; il tempo di cui l’amministrazione dell’ufficio immigrati necessita per incrociare i dati ed organizzare il loro rientro nello stato Dublino membro che gli spetta, ovvero il secondo paese dal quale vogliono scappare: l’Italia. Si rifiutano di salire sull’aereo e subiscono violenze da parte della polizia inglese. A giudicare dalle foto post aggressione, non si trattava di un semplice schiaffo. Come da protocollo, l’Inghilterra comunica all’ufficio di Roma i dati degli immigrati e la data della loro ‘spedizione indietro.' Come da protocollo, l’Italia non risponde.
L’Unità Dublino di Roma dovrebbe incrociare i dati, verificarli, rifiutare o accettare il loro rientro e comunicare la decisione all’Inghilterra, tra un pausa caffè e l’altra. Solitamente vengono accettati tutti, sia per appunto la legge Dublino sia per mantenere la facciata del paese responsabile e attivo negli aiuti umanitari, riscuotendo così altri aiuti economici. E’ praticamente impossibile riuscire a parlare con l’ufficio di Roma che chiamo, e le poche volte che questo ente pubblico si dedichi al pubblico e che non cada la linea dopo la prima domanda, si viene rimbalzati con un ‘Non so‘ o ‘La collega che se ne occupa, non c’è, La farò richiamare...‘ Se entro tre mesi successivi alla richiesta dell’accettazione degli immigrati non giunge nessuna risposta, l’accettazione è automatica e il paese prosegue con la loro spedizione. Eh già, soddisfatti o rimborsati.
Così succede con B. e Z.; l’Inghilterra se ne libera con un “Loro sono responsabili per voi“ e li spedisce a Venezia. Per legge e diritto, all’ora del loro arrivo dovrebbe esserci un apposito funzionario e un interprete, dovrebbero aver diritto all’immediata richiesta di Riconoscimento protezione internazionale, e dovrebbero esser indirizzati a un centro accoglienza che fa parte del progetto europeo. ("Ah, cavolo, era nostro quel centro nominato e assegnatogli dall’UE, vero? Quello che ci siamo aggiudicati nell’appalto, ricordi? Ah già, mi son scordato, risulta realizzato e funzionante da sette mesi, anche se non è mai stato aperto e usato. Vabbè diciamogli intanto di aspettare in giro qualche mese, si arrangiano.")
Nulla di ciò accade. All’ufficio aeroportuale chiamano al telefono ‘un amico Marco’ che parla un po' di curdo, naturalmente del tutto diverso da quello della zona dei ragazzi, i quali sono quindi sprovvisti di ogni tipo di informazione su cosa fare e dove andare. Non gli rendono possibile di fare subito la richiesta di Riconoscimento protezione internazionale, come prevede la legge, la quale viene entro sei mesi o rifiutata o accettata con lo status riconosciuto. Durante questi sei mesi il forse - rifugiato o forse - rifiutato non ha il diritto di lavorare - giustamente - in quanto appunto gli spetta un centro di accoglienza sponsorizzato dal progetto europeo. Invece quel giorno, il 9.7.2015 ai ragazzi viene solo rilasciato un foglio che li manda in questura. La questura, naturalmente sprovvista di interprete e quindi ogni tentativo di informazioni risulta invano, in cambio di quel foglio gliene rilascia un altro che però non è la famosa domanda per il Riconoscimento, bensì un foglio che gli permette soltanto di poter presentare la domanda - il giorno 27.10. alle 8.30., nella questura di Venezia.
111 giorni solo per poter chiedere il permesso di avere un permesso. Tre mesi ad aspettare per poterne aspettarne altri sei e scoprire se lo ricevono. Al gesto di ‘dove dormire’ di B., il poliziotto sporge il petto in avanti e apre le braccia, nel linguaggio corporale del ‘che ne so.’ Altrettanto assente ogni tipo di aiuto sia economico che pratico, previsto dalla legge. Qualcuno ci dica dove sono i famosi 35 euro a testa al giorno. Anzi; no, lo immaginiamo già, ora mi ricordo dell’intercettazione e dei 30.000 euro al mese che entrano in tasca.
Passano le prime 96 su 6984 ore di attesa a farsi rimbalzare da un centro di accoglienza all’altro, a sentirsi dire ‘Non lo so‘ e ‘Siamo pieni.' Dormono in stazione, un quasi-punto di smistamento di immigrati, i quali pur essendo impotenti, spesso si dimostrano molto più d’aiuto e informati di un qualsiasi impiegato. I veterani della stazione si prendono cura dei ‘new entry’; dalla condivisione di un pezzo di parco protetto dall’albero ai primi panini. Si conoscono tutti, fanno a turni per tenere d’occhio le coperte dei ‘vicini’, si scambiano i consigli su associazioni che forniscono i pranzi, si derubano.
B. e Z. tentano la fortuna, sperando che Milano offra più possibilità. Non pagano il biglietto del treno, non hanno più soldi. ("Che cosa?! Annota questa; se un giorno li accettiamo, ricordati che ci devono dei soldi!"). Salgono su un regionale la mattina presto e ogni volta che intravvedono un controllore, scappano dal treno e ne aspettano un altro. La notte raggiungono finalmente la stazione centrale, dalla quale nel frattempo sono stati tolti i posti letto ‘vip’ riparati all’interno della stazione. Giusto; magari qualcuno nel frattempo si è aggiudicato lo spazio vuoto con una gara d’appalto per un utilissimo negozio di intimo o un Tabacchi cinese.
Milano gli offre tanti centri di accoglienza quanti ‘No, siamo pieni.‘ E la storia si ripete. Un altro albero, un’altra fontana, un’altra indifferenza di centinaia di persone agli occhi delle quali queste persone sono invisibili, perché ‘ci mangiano le nostre tasse‘, nonostante spesso non mangino nemmeno, nonostante queste finiscono dappertutto tranne che nei piatti degli immigrati.
Rovistando tra le carte di B. e Z., trovo anche dei ticket ospedalieri. Il mio interprete a titolo gratuito, (è curioso constatare che ci ho messo 27 minuti a trovarlo mentre questure e stazioni della polizia non ne trovino uno nonostante schedati), ovvero un altro curdo della stazione che ha sfruttato la sua attesa dell’attesa con un dizionario d’inglese in mano, toglie la maglietta ai due amici. Un centinaio di rossi cunicoli sparsi dal collo ai piedi e grattati con insistenza hanno reso i loro corpi bordeaux tendente al viola, con arti inferiori gonfi a dismisura. I ragazzi hanno provato a farsi curare all’ospedale di Milano, da dove sono stati rimandati ‘a casa‘ in quanto sprovvisti di cash per il ticket e in attesa dell’attesa per un permesso valido.
Eppure, nemmeno la minaccia della scabbia, malaria, Ebola o TBC ci porta a provvedere ad un’assistenza medica almeno elementare e controllare gli immigrati, che spesso non sanno ne da quando ne se sono infetti. Ci lamentiamo della scarsa presenza dei poliziotti in giro, eppure ne usiamo ben sette per scortare uno spaesato immigrato dal gate all’uscita - fuori, così non è più competenza del nostro territorio aeroportuale. Ci lamentiamo che loro si lamentino, ma voglio vedere chi di noi, alla disperata ricerca di una vita, sorriderebbe beato in Nirvana in qualche stazione, ringraziando la Mafia Capitale per l’albero italiano sotto al quale non vuole stare, punito per essere qui con l’obbligo di rimanerci. Gli immigrati non ci vanno bene, a meno che non siano delle gnocche seminude in un reality o non giochino a pallone. Vogliamo ’aiutarli a casa loro’ , un eufemismo di ‘respingiamoli a casa loro’, non rendendoci conto che non hanno più una casa.
Loro cercano le soluzioni ai loro ed ormai ai nostri problemi, e solo il nostro altruismo potrebbe aiutarli. Ma considerando la razza umana, non ci scommetterei.