Cinquecento braccia contorte, quasi sofferenti, di cemento bianco, con le loro 2500 dita, escono dal suolo mentre cerco di attraversare il sottile ponticello del Wat Rong Khun, aka il "Tempio Bianco" di Chiang Rai, Thailandia. Sembra quasi che chiedano elemosina, che cerchino di tirarmi giù. Solo un dito tra tutti, un medio, sta bello dritto e sembra che si rivolga proprio a me, come punizione per averlo fissato troppo a lungo. Gode del privilegio di uno smalto rosso sangue, l’unico colore diverso dal bianco accecante del tempio – il primo al mondo di questo colore.
Un uomo con il megafono mi grida di procedere – il ponticello rappresenta la parte dell’Inferno, della sofferenza, e chi non percorre questa, non potrà mai conoscere quella della felicità. Non mi è permesso di fermarmi, guardare o tornare indietro per uscire "dall’inferno", solo di andare avanti. Peccato, volevo chiedergli il significato dei teschi sdentati sparsi tra le braccia mozzate, a 10 metri dall’entrata del tempio di un artista che ha rivoluzionato il Buddhismo.
Di templi ne ho visti, esplorati, fotografati, amati e cercati, ma questo è diverso in tutto e da subito – non l’ho mai cercato, me lo sono trovato lì, vagabondando sul mio motorino attraverso il nord della Thailandia. Sento di doverlo capire, costi quel che costi. Mi tolgo le scarpe, entro nel tempio e raccolgo i piedi leggermente di lato sotto di me - per stare più in basso possibile e dimostrare il mio rispetto a Buddha e non puntare le piante di essi contro nessun umano o immagine sacra dietro di me.
Qualcosa coglie la mia attenzione, un movimento sopra di me. Un uomo su una pseudo-impalcatura, concentrato, in una posizione da contorsionista, sta ultimando uno degli enormi dipinti che coprono tutte le mura del tempio, interruttori e prese compresi. Il suo pennello è microscopico e i colori che lo circondano sono così tanti, i disegni così piccoli e precisi e lo spazio da riempire ancora così vasto che mi viene il dubbio che solo il suo nipote potrà finire l’opera. Gli sorrido trasportata dalla meraviglia e dalla devozione e serietà con cui svolge il suo incarico, mentre lo omaggio di un wai ormai diventato perfetto per quanto lo uso. Passa mezz’ora e io ancora non riesco a staccarmi dal suolo del tempio. La gente entra ed esce, nonostante l'assoluto divieta fotografa distrattamente l’interno per poter dire "io l'ho fotografato", dà un’occhiata noncurante ai muri ed esce verso la successiva "cosa da fare a Chiang Rai". Mentre mi chiedo perché persone cosi non preferiscano andare allo Zoo, una mano mi tocca delicatamente la spalla – il pittore. “Tu", dice, "vieni con me”. Europea, e quindi predisposta a pensare subito di aver fatto qualcosa di sbagliato, mi alzo un po’ perplessa.
Le Torri gemelle e un aereo che punta una di loro. La testa di un serpente, decapitata, che perde il gasolio che cola su di esse. Michael Jackson. Spiderman. Kung-Fu Panda. Doraemon. Keanu Reeves. Supereroi dei cartoni animati. Un demonio enorme con due occhi giganteschi. Tutto disegnato quasi a caso, senza senso. Ma ho imparato che i thai non fanno mai nulla a caso, senza un significato o scopo preciso. Mi confondo lo stesso, però: cosa c’entrano queste figure, situazioni, sangue, soldi, benzina, attori… con il Buddhismo?! Guardo incerta il mio "accompagnatore" che sorride paziente. "Sono tutti gli eroi e supereroi che abbiamo creato; tutto il superfluo. Loro simboleggiano il nostro proprio bisogno di averli, per la mancanza di morale che ormai regna su questa terra. Così pensiamo che qualcuno di loro salverà il mondo. Il demonio è Mara, quello che cercava di far cadere Buddha nelle tentazioni fisiche e materiali. Ma non c’è riuscito. Guarda bene negli occhi di Mara”. Guardo eccome, ma non vedo nulla: solo delle strisce colorate, sfumate, al posto delle pupille. “George Bush e Bin Laden, li vedi? Dentro agli occhi“. Sbarro gli occhi quasi quanto il mostro: Eccoli! Ma che ci fanno questi due in un posto sacro?! “Rappresentano la tentazione, il demonio appunto. Per dimostrare che il nostro mondo è stato distrutto da chi costruisce armi per uccidere. Sempre più voglia di potere, denaro e territori hanno distrutto la pace, cosi come Mara ha provato a fare, perciò non potevano che essere piazzati lì, i due. Quelle braccia sotto al ponte, fuori, sono di quelli che non hanno resistito alle tentazioni, hanno commesso azioni cattive nelle vite precedenti e ora sono all’inferno e tentano a loro volta gli altri." E' il mio momento: "E i teschi?", chiedo senza fiato.
"I teschi sono di quelli che ci sono cascati“.
Sono senza parole, affascinata, meravigliata - non ho mai visto un’opera più sincera e coraggiosa nella mia vita. Vecchi insegnamenti di Buddha e le sue saggezze sono state interpretate con massima serietà ed efficacia in un modo moderno: se prima si temeva un animale, ora è un presidente. Se prima bisognava dissociarsi dall’ego, ora dai supereroi. Se prima bisognava rinunciare ai beni materiali primari quali il cibo, ora al gasolio. Se prima bisognava resistere ai corpi femminili mandati per distrarre, ora ai poteri ben più pericolosi. Congedo il mio informatore per andare a cercare l’ideatore di tutto ciò, Chalermchai Kositpipat, mentre lui torna alla sua opera, come fa ogni giorno da sette anni, e come altri 67 studenti e inseguitori dell’artista hanno deciso di fare per il resto della loro vita. Chalermchai nasce nella provincia di Chiang Rai lo stesso giorno, mese e anno di mio padre. E mentre quest'ultimo studiava per otturare le carie, il primo non studiava: nato in un paesino minuscolo senza acqua e elettricità, passa l’adolescenza a correre dietro al fratello con un coltello in mano, a essere agressivo, presuntuoso, impaziente, grezzo, geloso, promiscuo al punto da doversi curare di una malattia venerea. S’interessa all’arte moderna e si iscrive all’università, ma dice che Dalì e Picasso dopo un po’ erano così prevedibili che l’hanno quasi incuriosito a vedere come era l’arte una volta, nel suo paese. Rimane affascinato dalla cultura e dalla storia thailandese, che non è mai stata tanto nota a livello mondiale, e gli amici gli danno dell'old-fashioned. Un giorno, l'amatissimo e da poco scomparso Re confessa al popolo il suo stupore sul fatto che ogni regno avesse un artista innovativo, uno stile, tranne il suo, e che i templi costruiti ultimamente riflettono comunque l'arte convenzionale. Kositpipat coglie le parole come un appello, un invito, una richiesta. Non c’è thailandese vivo che non gradirebbe esaudire anche un minuscolo desiderio del Re. Si mette a studiare seriamente l’arte thailandese nella speranza di poter, un giorno, produrre qualcosa che potesse piacere al Re e ai critici occidentali, in modo da rendere viva l’arte del suo paese, le sue meraviglie. “Ho lavorato gratis e duro per 4 anni in Inghilterra, dipingevo un tempio del mio paese per omaggiarlo, ma sapevo che avrei potuto riposare e guadagnarmi da vivere più in là, un giorno. Quello che facevo lo facevo per l’amore del Re, del mio paese, del Buddhismo che cominciavo a conoscere meglio, a studiarlo, a praticarlo. Quello che mi ha salvato, cambiato, creato. Al mio rientro il Re stava proprio pubblicando uno dei suoi libri e gli servivano dei dipinti. Aveva visto il tempio che ho dipinto in Inghilterra: lo trovava moderno, innovativo. Sono stato scelto per i dipinti del suo libro. Dipingerò fino all’ultimo dei miei giorni, e tutto questo per onorare e rispettare quelli che mi hanno aiutato a crescere, cambiare, creare: il Buddhismo e il Re”.
Vive di fianco al tempio, il suo "figlio", come dice lui. “Non potevo farlo dorato, il tempio. L’oro rappresenta soldi, ricchezza, quasi avidità, mentre Buddha era puro, e solo il bianco significa puro. Gli specchi sono la sua saggezza, che deve riflettere su tutto il mondo, spargere la verità. Sì, i bagni li ho fatti tutti d’oro, sono i più bei bagni al mondo", ride. "Il progetto è cominciato nel 1997 e ci vorranno altri 60 anni per finirlo, così avrò creato 9 (il nove è un numero magico, sacro, un vero portafortuna in Thailandia) strutture altrettanto complicate, incluso un crematorio. Ognuna di queste insegnerà una lezione di morale. Ho già pensato a tutto: ovvio che ci vorrano altre due generazioni perché prima o poi morirò, ma ho una settantina di studenti bravissimi che lavorano su questo progetto da anni e sanno benissimo come lo voglio. Loro, a loro volta, istruiscono quelli dopo. Non sono e mai saranno richiesti soldi per accedere a questi luoghi: diciamo che è un modo per ricambiare la terra".
Si sveglia ogni mattina alle due per meditare, progettare, seguire i suoi allievi/pittori, dare loro una mano. Uno degli artisti thailandesi più importanti a livello internazionale, se non l’unico, non accetta soldi dai governi, dai ricchi, dagli sponsor, dalle ditte. Ha speso un milione di euro di tasca sua per far entrare l’arte thailandese nelle mostre, nelle guide, sui giornali di tutto il mondo. “Ho lavorato tanto e sodo per 20 anni. Dipingevo 200 quadri commissionati all’anno. Dal 1997, da quando ho capito di dover fare come minimo una casa per il Buddha, un rifacimento del paradiso, ne faccio al massimo 10. Uso i miei soldi, non voglio offerte: accettare del denaro ti rende dipendente, non più libero. Rende libero solo chi dona, e poi pretende. Accetto piccole offerte per le ristrutturazioni dai Buddhisti praticanti o dai visitatori disinteressati che vogliono contribuire. Il massimo dell’offerta, però, sono 250 dollari. Non le accetto da chi vuole gioire di benefici nascosti. Non voglio poi dover costruire ciò che mi dicono gli altri, questo è un mio omaggio“.
Nel tempo libero, a parte collezionare ossa di dubbia provenienza, si dedica solo al suo progetto. “Ho fatto quello, sono stato lì, ho visto là. Ho già dato. Ora ho raggiunto la serenità e la consapevolezza, la pace interiore. L’unico ostacolo della mia libertà di immaginare è la morte”, sorride. A mezz’ora di motorino da questo posto più che particolare si trovano le "black huts", le capanne nere, ideate da un altro artista nazionale, un allievo settantenne di Kositpipat, Thawan Duchanee. In 33 anni è riuscito a creare circa 40 tempietti, capanne e casette, tutti del suo colore preferito, diabolico: il nero pesto. Neanche qui si paga per entrare, l’unica condizione è quella di non entrare in gruppi.
Il giardino curatissimo e abnorme, pulito e con guardiani, è in netto contrasto con il contenuto delle 40 strutture di legno scuro, a forma di tempio, tutte quante: pelli di serpenti come centrotavola, corna di animali come bicchieri sui tavoli rigorosamente neri, di lunghezza superiore ai 20 metri, teste di coccodrillo come poggia gomito, uno scheletro completo di un elefante, pellicce di orsi come tappeti, tigri, furetti appesi, mobili bizzarri fatti di ossa, e ancora teschi di creature non identificabili: tutta collezione del suo maestro.
Come un pugno nell’occhio, l’imitazione di una megabalena con finestre al posto degli occhi, contenente una sedia da tortura, troneggia in mezzo tra un tempietto e l’altro. I soffitti dell’enorme struttura principale sono incredibilmente alti e il gioco della luce e delle ombre, che si crea tra pelli e ossa appese, crea un'atmosfera da castello abitato dai fantasmi.
“Ma no", dice Duchanee, "non c’è nulla di macabro, non vogliono dire nulla. Mi aiutano a studiare l’anatomia. Non capisco perché la gente pensi che il tempio bianco è il paradiso e questo l’inferno. L’ha detto anche John Lennon, non esiste il paradiso sopra e l’inferno sotto”. Le sculture, le statue, i quadri e gli arredamenti sono così affascinanti e l’idea di riciclare le ossa così curiosa che quasi quasi vorrei finire all’inferno, se non fosse che temo sia già pieno…